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Giulia Blasi

Giulia Blasi (Pordenone, 14 novembre 1972) è una scrittrice, conduttrice radiofonica e giornalista italiana, specializzata in tematiche legate al femminismo. Originaria del Friuli, vive e lavora a Roma.

Ha aperto il suo primo blog nel 2002, ha collaborato con riviste come Donna Moderna, Marie Claire e Vogue ed è autrice di programmi radiofonici e televisivi tra cui Hashtag, programma satirico su Rai Radio 1. È stata anche caporedattrice della rivista digitale Il Tascabile, edita dall'Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani.

Nel 2017 ha lanciato la campagna #quellavoltache, con l'obiettivo di raccogliere e rendere pubbliche le testimonianze delle vittime di molestie e abusi sessuali, raccontando non solo i singoli episodi, ma anche le conseguenze sulla loro vita e l'eventuale corso delle loro denunce. Questa campagna è iniziata pochi giorni prima del famoso #MeToo.

Nel 2018 ha pubblicato "Manuale per ragazze rivoluzionarie", libro in cui affronta il tema del patriarcato nella società e offre soluzioni per superarlo. La sua ultima pubblicazione, del 2022, si intitola "Brutta. Storia di un corpo come tanti".

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1. Il sito internet si focalizza sul femminismo ai giorni nostri e presenta anche gli #hashtag che sono nati nel corso del femminismo (#metoo, #balancetonporc), lei è ideatrice e promotrice della campagna #quellavoltache : ci racconta come è nato questo progetto ?

 

L’idea della campagna #quellavoltache è stata abbastanza fortuita, io e i miei compagni di lavoro non avevamo pianificato una campagna di successo, avevamo semplicemente pensato ad un progetto di scrittura. L’idea era di raccontare storie di molestie e di abusi, e, perciò, di chiamare il progetto #quellavoltache, rievocando tutti quei momenti in cui le donne si sono sentite insicure. La partecipazione al progetto era aperta a tutti, senza barriere. Avevamo iniziato a lavorare nel 2016, momento in cui il Ministero della Salute aveva lanciato il #Fertilityday, che avrebbe dovuto essere un giorno di prevenzione sulla fertilità e si era trasformato, invece, in un momento di campagna (stile Ventennio) sulla fertilità che doveva essere un « bene comune ». Il 12 ottobre 2017 l’hashtag è stato lanciato sulla piattaforma Twitter e nel giro di due giorni è diventato virale. Nel frattempo, Asia Argento ha ripreso l’hashtag #quellavoltache per denunciare la violenza subita da Weinstein e dal 15 ottobre vi è poi stata la diffusione dell’hashtag #metoo. Quindi, la campagna, che era già detonata in Italia, detona anche a livello internazionale. Sono contenta di questo progetto, perché è frutto di un lavoro collettivo e sono sicura che ha lasciato una traccia duratura nella conversazione femminista. Forse, comunque, il momento delle campagne con gli hashtag ha esaurito il suo tempo, visto che, attualmente, Instagram e Tiktok non si prestano molto all’uso di hashtag e che ora si prediligono altri strumenti come video, reels, post fatti con piccole « cards ». 

 

2. Nella sua ultima pubblicazione nel 2022, « Brutta. Storia di corpo come tanti », lei riflette sulla necessità delle donne di rispettare determinati canoni estetici. Quali progressi si sono fatti in quest’ambito ?

 

« Il mito della bellezza » di Naomi Wolf  è un libro del 1991: si parla di « bellezza, culto della bellezza, obbligo della bellezza » da almeno trent’anni. Non è, dunque, quello che ho affrontato io, un discorso nuovo, però i discorsi evolvono nel tempo. Per molto tempo, il discorso sulla bellezza è stato estremamente normativo : c’è uno standard e o ti adegui o risulti « sbagliata». Nel 2004, con le prime campagne di Dove - come quella sulla Bellezza Autentica, che presentava le donne con le loro imperfezioni - si apre un capitolo della conversazione sul corpo che sposta il focus da « dovete essere tutte belle come… » a « siete belle come siete, il vostro corpo va bene così ». Certo che, tutt’oggi, per la donna, l’essere bella o sentirsi bella rimane una preoccupazione. Per gli uomini, invece, non esiste lo stesso tipo di obbligo. Gli uomini sono molto più autorizzati ad essere semplicemente presentabili. Se hanno abbastanza potere, possono anche essere come Donald Trump, che non ha mai un vestito della taglia giusta, o come Borris Johnson, che sembra uscito da un autolavaggio. In Italia, il corpo del politico in qualche modo risponde a delle norme, perché abbiamo avuto uomini politici che hanno portato all’apoteosi la ricerca di un bel corpo : Bettino Craxi, Silvio Berlusconi, per portare alcuni esempi. Oltre alla ricerca della bellezza, si può notare come ci sia - questo anche per gli uomini -, un rifiuto all’invecchiamento. Una gara che non è possibile vincere, tuttavia. Il capitalismo sponsorizza molti prodotti, tuttora, nell’ottica del « ti vendo questo prodotto così che tu possa diventare bella o ancora più bella ». 

 

3. « Femminicidio » parola dell’anno 2023 secondo Treccani. Lei si occupa anche  di formazione : pensa che un progetto di educazione sessuale e affettiva nelle scuole possa essere una delle misure preventive per cercare di sradicare questo problema dilagante ?

 

Sicuramente si, ma non è l’unica misura. L’educazione risolve la parte relazionale, può servire a far comprendere la differenza tra la rabbia (che è un’emozione e può essere lecita) e la violenza (che è un’azione e lecita non lo è mai). Basti pensare che fino al 1956 in Italia era in vigore lo ius corrigendi, per cui l’uomo capofamiglia poteva picchiare moglie e figli per correggerne il comportamento.  L’unica vera soluzione è smontare il sistema patriarcale e capitalistico, altrimenti continueremo ad avere una classe di persone che, in quanto considerate inferiori, vengono sfruttate. Molte donne sono tenute in una sorta di « schiavitù soft » o oppressione costante da parte di partners perché la loro inferiorità serve a tenere in piedi il sistema. Quando le donne in questione si sottraggono alla funzione immaginata che hanno nella vita degli uomini che hanno intorno (non vogliono essere madri, non vogliono essere mogli, non vogliono una relazione), allora, spesso, gli uomini reagiscono uccidendole. 

 

4. Che cosa vuol dire per lei essere femministi nel 2024 e quali consigli darebbe per mettere in atto un femminismo ottimista ?

 

I femminismi sono per natura ottimisti. Non è possibile essere femministi se non si è anche ottimisti. Qualunque movimento che sia basato sul cambiamento, e sul miglioramento e progresso, deve per forza andare in questo senso. Bisogna credere che quello che si fa porterà a dei risultati (oggi, domani, dopodomani, tra due secoli). La fondatrice del movimento suffragista britannico Emily Pankhurst è morta prima di vedere i risultati del suo lavoro, ma questo sicuramente non invalida ciò che ha fatto. Lei ha agito per la collettività e ha vinto. Bisogna fare le battaglie giuste con l’idea che qualcuno raccoglierà i frutti di queste battaglie. Anagraficamente, io sono una femminista di terza ondata ; quando ho toccato con mano, per la prima volta, l’esistenza dei femminismi, erano gli anni Novanta e non avevo movimenti intorno a me. All’inizio il mio è stato un femminismo introspettivo e non collettivo, ci sono voluti gli ultimi dieci, quindici anni per iniziare a collettivizzare ciò che avevo radunato e, per fortuna, nel momento in cui ho deciso di condividere i miei contenuti attorno a me si è creata, per fortuna, una nuova ondata, quella del femminismo via blog, social media. Avanguardia non lo sarò mai, perché sono già « vecchia », però posso aiutare le persone ad unirsi in questa nuova lotta, strutturando del pensiero, però la mia generazione e formazione è già indietro rispetto a mezzi come Tiktok. A volte, mi trovo anche a non condividere al cento per cento alcuni metodi, mezzi e modi di fare femminismo oggi, però sicuramente ne condivido il fine e ho capito che la guerra interna ai femminismi non risolve nulla. Mi metto in ascolto e sono convinta che l’energia che si potrebbe utilizzare per criticare chi fa femminismo in una maniera che non si condivide è meglio utilizzarla verso il vero nemico, che non è l’altra femminista. Siamo tutte alleate e nel 2024 penso che le donne non debbano essere le uniche a occuparsi di femminismo, ma che dovrebbe essere un interesse di tutti e che tutti, nel loro piccolo, debbano mettersi in discussione. 

 

5. Quali sono i principali strumenti che utilizza per fare femminismo ?

 

Io ho la fortuna di scrivere libri, quando devo dire qualcosa di lungo. Scrivo, poi, articoli per numerose riviste o anche serie di articoli ; tengo alcuni corsi di formazione ; a volte partecipo a TedTalk o a programmi in radio, televisione. Ho la fortuna di avere una voce pubblica e quindi, quando voglio dire qualcosa, qualcuno mi ascolta. Non moltissimi, ma qualcuno si. Come ti dicevo, faccio fatica ad esprimermi in poche pillole o cards su Tiktok o mezzi di questo tipo perché non riesco a esprimere così brevemente la complessità di alcuni concetti. 

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